La nostra fattoria didattica per bambini

Deposito mangimi

 

Galletto nero di razza padovana

 

Galletto bianco di razza padovana

 

Gruppo di padovane nere con galletto

 

Coppia di razza Plymouth Rock a mantello barrato

 

Gruppo di faraone con tacchinella

 

Ricovero coibentato con ovaiola livornese

 

Ricovero coibentato: vista interna con padovane

 

Nidi per deposizione – Silo per mangimi – Abbeveratoio automatico

 

Ricoveri coibentati per cove

 

Recinto per anatidi con ricovero

 

Stagno per anatidi

 

Spazio coperto per alloggiamento mangiatoia anatidi

 

Anatre ed oche intorno allo stagno

 

Spazio cova per anatre

Il mio metodo di allevamento degli avicoli e dei palmipedi

Un discorso a parte, più approfondito, meritano gli avicoli, in quanto le mie osservazioni, i miei errori e le mie disavventure, mi hanno condotta a concludere che, se non si corre presto ai ripari, un giorno, neppure troppo lontano, saranno disponibili solo soggetti allevati con mezzi artificiali.

Mi spiego meglio.

Come fu per me, che nasco cittadina, all’approccio agreste, penso che ognuno immagini la bella gallinella che cova assorta il suo uovo fino al giorno ove, attraverso i fili di paglia del nido, si scorga il primo batuffolo di piume, preannunciato dal pigolio del pulcino.

Del resto il grande Konrad Lorenz ci ha insegnato che i polli, come le oche ed i tacchini, sono animali estremamente sociali e fortemente attaccati alla madre, tanto che i pulcini seguono la prima cosa che vedono allo schiudersi dell’uovo perché la identificano con la madre e, dunque, con qualcosa di uguale a se stessi.

Purtroppo, però, non funziona così, perché oggi le galline provengono per la massima parte da incubazione artificiale ed hanno ormai perso l’imprinting di lorenziana memoria perché non hanno visto chioccia alcuna in trepida attesa.

In poche parole oggi gli avicoli hanno perso l’attitudine alla cova naturale.

Anche questo l’ho imparato a mie spese, osservando direttamente i miei primi soggetti (di razza e provenienza in realtà assai incerte); nessuno di conosciuto, infatti, era capace di espormi la parte teorica dell’allevamento avicolo, in termini che potessi giudicare convincenti, perché, come nelle galline l’istinto alla cova, negli uomini (e donne) che conosco io, pare oggi scomparso qualunque ricordo dell’antica cultura contadina.

E’ così che, autodidatta d’assalto, ho imparato che la cova, anche in presenza di imprinting, è legata a fattori ormonali, che esiste la finta cova (galline che paiono pronte all’affare, ma che poi si alzano nel bel mezzo e lasciano marcire i feti nelle uova), che occorre mettere le uova in cova in via contemporanea (la cova ha un tempo prestabilito, se un uovo schiude prima, la gallina segue il pulcino e lascia perire quelli ancora immaturi), che occorre isolare la chioccia (le altre galline del pollaio, non in cova o in allevamento della prole, fanno la posta ai pulcini altrui per farne strage) e tanto altro ancora.

Fra le conclusioni che ho tratto è compresa quella che riguarda le razze dei polli oggi in prevalente commercio e che mi ha fatto propendere per le scelte definitive che vado ad illustrare.

Nel merito dei polli che si possono acquistare e tralasciando i soggetti da “polleria”, che neppure so di che panni vadano vestiti, oggi in campagna, in irrimediabile assenza di covata, si usa comprare pulcini o pulcinotti da porre poi all’ingrasso; analogamente si fa con le galline ovaiole (che non si faranno però molto ingrassare, perché il sovrappeso inibisce la deposizione).

Dalle mie parti, ma credo un po’ ovunque in Italia, si tratta di comperare degli ibridi commerciali ricavati, probabilmente, anche per via genetica, per soddisfare il solo scopo cui sono destinati (alimentare ovvero da uova).

Ne ho provati dei più diversi tipi: leggeri, pesanti, bianchi, rossi, screziati, ovaiole comuni ed ovaiole c.d. livornesi, ma nessuna mi ha soddisfatta: i soggetti alimentari hanno uno sviluppo rapido, per me innaturale, destinato a concludersi tristemente, se non vengono utilizzati (leggi “accoppati”) in via immediatamente prossima alla maturazione, che, incredibile ma vero, si raggiunge a circa cinque mesi di età del soggetto allevato; le ovaiole, per certi versi da considerarsi addirittura eccezionali al riguardo di quantità di deposizione (numero di uova in un anno) e di dimensioni dell’uovo al paragone della taglia della gallina, si sfruttano assai presto e, già dalla seconda stagione di deposizione (praticamente quando le gallinelle non hanno neppure compiuto i due anni di vita, che sono pochi se paragonati ad un ciclo vitale che può anche superare i dieci anni), l’aspetto delle pollastre, e dell’intero pollaio ad esse dedicato, è deprimente: galline spennacchiate, in muta perenne, uova sbocconcellate alla ricerca di energia, sottratte al consumo umano, e tanto altro ancora.

Ho poi imparato che il tutto è dovuto ad una genetica sfavorevole perché è d’uso comune, fra gli allevatori, la scelta dei polli più produttivi (quelli che crescono più in fretta, quelli che pesano di più, quelli che depongono più uova) che vengono fatti accoppiare in via selettiva.

L’eccesso di selettività, tuttavia, danneggia la natura.

Ad esempio, una gallina che depositi moltissime uova, utilizzando calcio e minerali tratti dall’alimentazione, quasi in via esclusiva, alla produzione del guscio, presenterà poi sicuramente ossa fragili.

Inoltre, i polli da ingrasso che crescono troppo velocemente, non sono in grado di replicare quanto avviene in natura ove il corpo produce un’intelaiatura di cartilagine che, riempita di minerali, si indurisce poi fino a formare l’osso; nei polli troppo spinti il supporto cartilagineo viene a mancare prima dell’indurimento dell’osso e ci si trova di fronte, come mi è capitato più volte, a polli che, improvvisamente e senza motivazione apparente, non sono più in grado di alzarsi.

Solo dopo molto tempo ho capito che si trattava di polli “geneticamente zoppi”.

Alle descritte anomalie d’allevamento si aggiunge il fatto che le aziende produttrici di polli da carne e di galline ovaiole sono relativamente poche nel mondo e ciò ha contribuito al restringimento del ventaglio genetico conducendo ad un aggravarsi delle descritte anomalie e di tante altre ancora.

Con la conseguenza che oggi, fortunatamente non solo a me, sembra assai importante preservare le vecchie varietà di pollame, proprio per garantire la diversità genetica e per inibire il definitivo fissarsi degli inconvenienti anzi descritti.

Del resto ho anche letto che la carne di alcune vecchie varietà è più tenera e di qualità migliore rispetto a quella di razze selezionate per crescere in fretta e che tali “vecchi” polli sono assai più robusti e danno risultati assai più soddisfacenti nell’allevamento ruspante.

Così, anche per i polli, come prima per i mammiferi allevati, mi sono messa alla ricerca di qualcosa che facesse al caso mio: per l’allevamento principalmente alimentare, polli di razza antica a lento accrescimento; per le ovaiole, antiche razze preferibilmente selezionate e fissate in Italia.

Devo dire che ho trovato soggetti che mi potessero soddisfare unicamente nel mondo dei polli da esposizione, probabilmente perché solo la bellezza ha preservato dall’estinzione alcune razze normalmente produttive, che rischiavano, come per altre è avvenuto, di sparire per far posto agli ibridi commerciali più spinti.

Attualmente ho un piccolissimo gruppo di polli della razza PLYMOUTH ROCK, a duplice attitudine, alimentare e da uova, ed ho iniziato l’allevamento di alcune coppie di razza PADOVANA, non meno bella che buona ovaiola.

Non me la sono sentita di rinunziare completamente alle ovaiole “moderne” e, in uno dei recinti di allevamento, tengo sempre un piccolo gruppo di galline c.d. LIVORNESI BIANCHE (da non confondersi con la razza nostrana, nana e variopinta) che mi garantisce disponibilità di uova praticamente tutto l’anno; anche in autunno, periodo di maturazione del mosto (il buon intenditore capirà le motivazioni della mia scelta dalla lettura del vecchio detto contadino: “In tempo di vinaccia, chi vuol l’uovo se lo faccia”, coniato, evidentemente, molto prima dell’avvento delle manomissioni genetiche).

Faccio il cuore duro, però: trascorsi un paio d’anni dall’acquisto delle pollastre, immesse nel mio pollaio intorno ai cinque – sei mesi di vita, regalo quelle vecchie (le galline ovaiole “specialiste” non sono assolutamente gradevoli per la mensa) ed introduco quelle nuove nel numero che dipende dal mio grado di soddisfazione per l’approvvigionamento uova dei due anni precedenti.

Tornando alle razze antiche, va detto che, per quanto spiegato, i miei capostipite sono privi di imprinting alla cova, perché provengono da uova incubate, e non posso perciò sottacere che, per rimediare, utilizzo per la cova, la schiusa e l’allevamento dei pulcini di razza, alcune gallinelle anzianissime, di razza mix imprecisata, che sono fra le prime da me acquistate, o magari provengono da queste (non ho tenuto debitamente bene l’anagrafica) e che non mi tradiscono mai; come dire che meticcio fatto in casa è meglio!

Ho fiducia di ottenere, prima o poi, soggetti di razza capaci di procreare allo scopo di restare, a livello di polli, totalmente autonoma.

Non ho ancora pensato a come riprodurre i tacchini e le faraone che, comunque, allevo da pulcinotti di razza (qui ancora non mi sono imbattuta in ibridi commerciali), cercando di garantire anche ad essi il benessere che la specie richiede (vengono classificati “selvaggina” come i fagiani).

Da ultimo un cenno ai miei palmipedi (Germani Reali, anatre di Pechino e Caroline) che allevo con gli stessi criteri, ma che non ho il coraggio di destinare alla mensa: mi limito a guardarli dondolare e quest’attività mi rallegra e distende.

Come per bovini e maiali, anche per avicoli e palmipedi ho creato appositi recinti, attrezzati con zone d’ombra e pollai mobili; ho addirittura coperto i recinti con reti anti uccello per evitare l’ingresso ai predatori.

Devo aver creato uno spazio talmente confortevole che i miei avicoli, notoriamente specie preda, dall’interno dei recinti paiono irridere i cani che, chiusi all’esterno, abbaiano come forsennati cercando di acchiapparli, ovviamente senza riuscirci.

I recinti, distinti per polli da ingrasso, ovaiole, selvaggina e palmipedi, sono dotati di ogni confort, compreso laghetto per questi ultimi, e le attrezzature a disposizione includono scatole nido per la deposizione delle uova, indispensabili alle galline che, animali preda, per deporre hanno bisogno di nascondersi; queste gabbie “arricchite” hanno il pregio di ridurre sia la rabbia, e dunque le aggressioni intraspecifiche, che pure esistono e sopiscono solo al consolidarsi della scala gerarchica, sia la paura dei potenziali predatori.

I miei avicoli non mancano della possibilità di rotolarsi nella polvere per liberarsi dei parassiti ed hanno a disposizione alberi per ombreggiarsi, sperando che, con il tempo, possano anche nutrirsi della frutta che gli alberelli ancora non hanno cominciato a produrre; non per questo, tuttavia, risultano meno utili agli animali: vengono infatti usati come trespoli per appollaiarsi in posizione elevata, abitudine intrinseca della specie preda che ha bisogno di dormire in alto per sfuggire ai predatori in un momento di vulnerabilità.

Superfluo osservare che nutro i miei animali quanto più possibile con cibo di produzione aziendale e che questo comprende gli scarti dell’orto che distribuisco in foglia, ovvero triturando le parti più dure nell’apposito macchinario (bio trituratore – v. anche ciclo di separazione dei rifiuti).

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